Come il latte

•06/12/2016 • Lascia un commento

Darsi una data di scadenza, come il latte.
Una vicina, precisa, che poi non si scherza più. Darsi un tempo per sistemare le cose, fare e dire tutto ciò che serve.
Poi basta.

Forse

•20/01/2012 • Lascia un commento

Pensavo che forse un giorno riuscirò a fare qualcosa di buono. La butto qui, così, come ipotesi.

Forse un giorno vorrò fare qualcosa e parlandone mi si risponderà “ma sai che anch’io?” , oppure “se vuoi posso darti una mano”. 

Forse un giorno penserò che sì, ho fatto tutto il possibile, e se qualcosa va male non è affatto colpa mia.

Forse un giorno mi sentirò apprezzata più che sopportata.

Forse un giorno, ma decisamente non oggi, non domani, ecc ecc

Io sui grandi di oggi un pochino mi viene da scatarrarci su

•17/09/2011 • 1 commento

Che poi non è veruncazzo che i giovani non hanno voglia di lavorare.

Io lavorerei giorno e notte, sabati, domeniche, festivi e feriali, sacrificherei la vita sociale e dimenticherei di mangiare, se solo fosse per una paga che basti a mantenermi e avessi prospettive o mi sentissi dire anche solo “brava, bel lavoro”.

E’ che noi le prospettive, le scelte, non le abbiamo. E ci volete già pronti, già preparati, informati su tutto, “giovani con laurea magistrale, massimo dei voti, massimo 25 anni con almeno 6 anni e mezzo di esperienza nel settore”, perchè mica basta vedere la voglia di fare, mica ci si può prendere il rischio di guidarci, di darci il tempo di imparare. Scommettere sulla nostra generazione è una vana speranza. Lo sanno tutti che non ce lo meritiamo.

Continuiamo ad annaspare in un mare di contratti a progetto, determinati di 3 mesi, stage non retribuiti, che se sei una persona normale, con necessità normali, e non puoi continuare a gravare sulle spalle dei tuoi genitori, devi scartarli in partenza, e lasciarli a chi ancora può permetterseli. Il problema è che poi, a continuare ad annaspare, affoghi. Ti passa la voglia di fare, di cercare. Ti accontenti della prima cosa che ti permette di campare con un pizzico di sicurezza in più, anche se non ti piace.

E’ così che diventiamo come voi, che non siete più in grado di apprezzare il vostro lavoro, perchè avete dimenticato che a voi un’opportunità l’hanno data, perchè tanto nessuno ve lo tocca, perchè ormai serve solo a portare il pane in casa.

E vi dirò, per questa storia qui mi rode il culo.

 

“Come stai?” “Standard, grazie”

•30/08/2011 • 3 commenti

Rimettere insieme le idee, ordinarle senza risolvere nulla.

Concludere che non c’è motivo di arrabbiarsi, preoccuparsi, intristirsi, stupirsi o sentirsi feriti. Non c’è motivo neanche di rallegrarsi. Infondo è tutto normale.

L’unica e fermarsi per qualche ora ogni tanto, sparire dai radar, dire “ora penso a me” .

E sperare che basti.

 

Pusillanime

•30/07/2011 • Lascia un commento

E’ che infondo non credo di voler sapere quello che pensano gli altri. Quelli che mi stanno intorno, quelli che ci voglio bene. Ma non le cose così per caso, quello che hanno veramente dentro, quello che pensano di loro, delle cose, di me.

La gente che non mi importa si, sono curiosa. Ma quelli che ci voglio bene non lo so, non credo.

Quelli che ci voglio bene ho paura. Perché poi quello che pensano mi fa male.

Lo so già.

Niente, così.

•19/07/2011 • Lascia un commento

Finisce che dopo molto tempo stai qui e scrivi, cercando di riprendere un’abitudine ormai quasi persa.

Che poi non è vero. Io sto qui e scrivo perchè mi è tornata in mente una cosa vecchia che non volevo mi tornasse in mente, perchè fa male. Così sto qui e scrivo, che magari quella cosa si annoia e se ne va.

E’ che non ho mai avuto un bel rapporto con le cose dolorose, quelle che ti consumano dentro. Prima mi dispero, poi fingo che siano scivolate via, magicamente. E invece stanno lì per molto tempo, tra la vergogna e il pensiero che sì, se succedesse ora, saprei cosa fare, non commetterei quell’errore.

Tutti buoni, ottimi propositi. Tanto lo so che non imparo mai, ma apprezzate l’impegno.

Haiku del lavoro ottenuto

•08/06/2010 • 3 commenti

Occhi ridenti

rivelan la notizia

ma che gran culo

ground zero

•06/06/2010 • 2 commenti

Terra bruciata, tristemente libera, dalla quale rialzarsi e cominciare a costruire. Il mio ground zero si trova nel tempo e non nello spazio, nel momento esatto in cui ho smesso di sapere cosa fare e ho iniziato a chiedermi “e adesso?”.

Da qualche parte si deve pur cominciare. E domani alle 12 mi attendono in centro per il secondo colloquio in un’azienda che potrebbe essere un bel punto di partenza. Un lavoro interessante, che non rientra nel mio settore ma potrebbe comunque piacermi parecchio, e darmi un minimo di tranquillità economica di cui solo io so quanto ho bisogno. Insomma, non sarà un incarico dirigenziale nè un lavoro da designer, ma io ci tengo tanto.

E’ un modo per smettere di sottovalutarmi, e sperare che smettano di farlo anche gli altri. E’ un modo di staccarmi da quanto intorno a me non mi piace, di costruire i miei gradini e iniziare a salirli. E la mia occasione me la gioco domani.

Promesse

•01/06/2010 • Lascia un commento

Darò la colpa della lunga assenza alla mancanza di ispirazione e di idee su che indirizzo dare a questo blog, sappiamo tutti che è colpa della mia immensa pigrizia, ma questo mi sono ripromessa di non dirlo, eh no no no.

Io e me abbiamo quindi deciso di esorcizzare la fottutissima paura del futuro parlando di come si sta ad essere uno dei millemilioni di laureandi disoccupati che cercano di combinare qualcosa di più o meno sensato, ma soprattutto di pagare l’affitto, che il papà facoltoso non ce lo si ha tutti. E’ una scala ripida e fragile, ma un equilibrio lo si deve pur trovare.

Mi impegno solennemente a scrivere qualcosa almeno 3 volte a settimana, e se non lo faccio venite pure a cercarmi e a punirmi. Grazie.

é una vita che ti aspetto

•16/01/2010 • 3 commenti

Che poi capitano quei periodi che non scrivi più per un po’ perché ci hai i tuoi casini, perché non trovi l’ispirazione, perchè il buco nell’ozono si allarga e non ti senti più lo stesso.

Però poi ci sono pure i periodi che un po’ l’ispirazione ti torna, e ci hai qualche cosetta da dire che non riguarda il solito elenco di sfighe assortite, e che dell’ozono non te ne frega una cippa .

A questi periodi si aggiungono quelli che non ti pare vero, ma tutto sommato sei contento, perché nonostante i mille casini, mamme, papà, esami e cazzivari c’è qualcuno che ti ama e ti sostiene (e ti sopporta), e non sei da sola. Ecco quei periodi lì mi piacciono parecchio, sono i miei preferiti. E la spiegazione è semplice, razionale non lo so: è solo che i cazzivari non sono più pesanti come prima, capisci che passano, in un modo o nell’altro, e che quella persona che ami così tanto a volte prende quel mattone che hai sullo stomaco, e lo tiene per un po’, per farti respirare. E certe volte ci sono ottime probabilità che quei periodi non finiscano mai.

Le scale è sempre meglio salirle insieme.